Dopo anni sono tornato a visitare la Rocca di Angera: sono rimasto positivamente colpito, è tenuta benissimo. C’è la torre da raggiungere e da cui si gode un panorama davvero incantevole. C’è la grande sala affrescata; molti saloni contengono una mostra incredibile di bambole antiche, marchingegni meccanici per generare musica o anche solo da intrattenimento e antichi giochi. Alcune sale sono addobbate con l’intento di far rivivere la vita di quei tempi con descrizioni molto puntuali e approfondite. All’esterno giardini, orti, chiesetta, fontanella e molto altro. Uscendo dal cortile centrale noto anche una piccola mostra di antichi attrezzi, tra cui un torchio da vino enorme, “Il più grande di Lombardia”, alcuni aratri e là in fondo lo vidi: ‘el timoséo de me sio Angin’. L’immagine di mio zio Angelo, detto Angin piazzato davanti a casa, paonazzo, con quel palo accanto che urlava: Vvvvegnì fffffora che ve cccccccccccccccopo tuti! Mi riaffiorò improvviso. Timoséo è un palo che si collega alla coppia di ruote anteriori di un carro se il traino è a due animali: in sostanza segue l’andamento degli animali e se questi girano, il palo muove le ruote anteriori, insomma come un volante. Gli animali nel nostro caso non sono ovviamente cavalli ma mucche: quelle che scaldano la sala da intrattenimento d’inverno (vedi: Lo spritz); che danno il latte per allevare figli; che trainano il carro da lavoro; che fanno i vitelli che quando si vendono ci si comprano le scarpe, due foulard, un cappello, tre paia di zoccoli, una tovaglia, un catino nuovo per il bagnetto dei bambini (vedi: bea grassa). Zio Angin invece è uno dei quattro fratelli di mio padre: uno scappò negli Stati Uniti per sfuggire alle grinfie della madre, un altro finse di studiare da prete per lo stesso motivo ma alla laurea invece che il prete fece l’insegnante; gli altri tre rimasero in ‘Famiglia’ : il primogenito, Giovanni ovviamente detto Nani, mio padre e l’ultimogenito Angin. Angin era il viziato della famiglia: balbettava,ed era per timidezza; era il più alto di tutti, e a quel tempo essere così alti era un handicap. Era viziato perché il più giovane e per la nobiltà della famiglia: avevamo uno zio Vescovo che, però, era morto. Sposò una donna che era ovviamente la sua antitesi: Forte, volitiva, cattiva e pretenziosa che lo comandava a bacchetta, di nome Italia. Questo nome che insieme a Europa e Oceano fanno presumere genitori o straricchi o molto particolari dimostra che non siamo di fronte ad un tipo semplice, non lo era. Per capire il personaggio racconto di quando vidi uscire di corsa suo figlio da casa. Tentò di richiudere la porta dietro di se per ritardare l’uscita dell’inseguitrice, la mamma, che invece la riaprì violentemente. Vidi un breve inseguimento, poi il lancio di un mattone che colpì in piena schiena mio cugino che emise un gemito strozzato. Non subì conseguenze, lui correva a trenta l’ora, il mattone a quaranta, quindi un impatto a dieci l’ora, … credo. Quando i tre fratelli decisero di dividere casa e terreni dopo la morte del nonno, Angin il viziato ma, peggio, il marito di Italia volle il meglio. Ebbe il corpo centrale della casa, quello più bello, che comprendeva: ponticello di legno sul fiumiciattolo, giardinetto all’italiana, salone d’ingresso con cucina, ampia scala di legno che portava al piano rialzato, salone ricevimenti e altare per la messa, camera da letto. Davanti casa pergolato artistico sulla fontanella perenne. Poi i nove campi da dividere in tre e lui volle i tre vicini a casa. Scoprì presto che, forse, sbagliò: I fratelli poterono allargare l’abitazione con deposito e granaio attigui all’abitazione, lui fu costretto a erigerlo oltre il cortile. Ritenne non essere lui a sbagliare ma che i fratelli lo volessero buggerare: ottenne una fetta di campo anche nei terreni più lontani, perché lì scorreva un fiume più ricco d’acqua e riteneva fossero più produttivi, una striscia di terra larga circa quattro metri lunga quanto il campo. Nacque così ‘El campo de a pesa’(leggere con esse forte, come fosse scritto pessa, cioè pezza)’. Quel campo, con la pezza, lo ricordo bene: se da una parte c’era frumento, la pezza era seminata a granturco, se il campo a granturco, la pezza a prato. Lo zio non era insomma convinto di avere fatto le scelte giuste e per questo non voleva essere costretto e decidere la divisione ufficiale delle proprietà. Ogni anno arrivava il Geometra Bonato, per fare le “volture”, cioè registrare le divisioni accordate, ma lui, non essendo convinto, si opponeva a questa registrazione ufficiale e ogni anno avveniva la sceneggiata. Mia madre che dice a mio padre: xe rivà el Geometra! Subito lo sbattere della porta dello zio Angin che correva al deposito di là dal cortile: prendeva "el timoséo," si piazzava tra casa sua e il pergolato e, paonazzo, urlava balbettando: Vvvvegnì fffffora che ve cccccccccccccccopo tuti! Mio padre, il paciere, usciva, gli diceva qualcosa e si avviava alla casa del fratello maggiore Nani. Lì c’era il geometra, dopo un po’ se ne usciva si avvicinava a zio Angin e gli diceva: tuto a posto, el se ndà via! Questi riportava el timosèo al deposito e se ne tornava a casa. Ogni anno così. Desiderai sapere cosa fosse un geometra. Le carriere più importanti io ritenevo fossero innanzitutto il prete, questa era la carriera migliore da intraprendere, poi il medico ma anche insegnante. Non conoscevo il personaggio Geometra. Un giorno ebbi la fortuna di conoscerlo. Lo zio Nani mi chiamò per farmi assaggiare i ‘bigoi in salsa’. Ne assaggiai uno: mi parve buono, continuai. Toglievo le spine delle sarde, poi, ovviamente, scartavo la cipolla e riponevo tutto sul bordo del piatto. Poi inventai un metodo più efficace: succhiare il bigoeo. Era una cernita efficace di quello che non mi piaceva, che poi era il sugo: a fine risucchio, dito sulle labbra a togliere la merce di scarto e posizionamento sul bordo del piatto. Il risultato a fine pasto era certamente qualcosa di esteticamente artistico, un bellissimo corollario di spine di pesce, cipolla, e tracce di acciughe intorno ad un piatto che comunque era rimasto vuoto, almeno in centro. In quel momento un: Naniii!!! Ostia te si sa qua! Vien che go da finire i bigoi! Era arrivato “El Geometra”. Era un uomo robusto, spalle larghe, quasi beo grasso, capelli bianchi ma tutti: non come lo zio che era piccolo, pancia trasbordante con forma a pagliaio, calvo; zio Angin, alto, secco e ricurvo; mio padre normale ma magro. Il Geometra era decisamente messo meglio. Presi in considerazione anche quella carriera: continuando a ritenere quella di prete la migliore. Stavo studiando il personaggio: ben messo; sicuro di sé; borsa in cuoio, mai vista prima, piena di carte con le scritte. Carte così le avevo viste solo nel cesso in fondo al cortile ma tutte tagliate a quadrotti, e non capivo mai il senso di quello che vedevo scritto. Lui invece parlava mostrando carte e spiegando. Sembrava proprio che la sapesse lunghissima. In quel momento sentii porte sbattere, grida di donne e il solito urlo:” Vvvvegnì fffffora che ve cccccccccccccccopo tuti!” Poco dopo arriva mio padre, saluta il geometra, si fanno un paio di tazze di clinton parlando del più e del meno, quindi esce, si avvicina a zio Angin, gli dice qualcosa, questi si avvia a riporre el timoséo, e rientra a casa dall’Italia. E la storia continua. |
venerdì 17 giugno 2011
El timoséo
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