lunedì 27 giugno 2011

Il cinquecento


C’erano lo smilzo, il corto, il secco; il quarto proporzionato all’autista.
Il nostro autista e proprietario del cinquecento, alto un metro e ottanta, aveva la guida da formula uno cioè disteso all’indietro. Dietro alla postazione di guida poteva starci solo lo smilzo. Busto trasversale, lo schienale dell’autista sulla pacia e le gambe di traverso infilate sotto il sedile passeggero. Il secco stava in centro, gambe allineate leggermente inclinate a destra per alloggiarle sotto il sedile: insomma come le signorine con la minigonna.  Il corto sul lato passeggero in posizione fetale, sotto il sedile non c’era più posto.
Il passeggero anteriore, il normodotato, con il sedile totalmente in avanti. 
Tranne lo smilzo, nei viaggi brevi, a volte, però, ci si dava il cambio.
Nelle stagioni calde, o quasi, con i finestrini aperti e capelli al vento (eravamo capelloni), la situazione era accettabile. Le portiere erano solo due ovviamente e i tre del sedile posteriore erano incastrati a filetto di sgombro, ma, a parte le aree del corpo a contatto che asciugavamo all’arrivo e la forfora dei passeggeri anteriori che cambiavano proprietario, si viaggiava bene.
In caso di serata positiva, le chiavi della macchina passavano di mano in mano sino a esaurimento richieste. Il problema era che, spesso, c’erano gli amici senza macchina che chiedevano aiuto. Tornavamo spesso a casa in ritardo solo perché o incontravamo troppi amici o si formava la coda perché, ubriachi, alcuni avevano difficoltà nel completare il servizio e anche tutt’e due i problemi. C’era anche una difficoltà oggettiva di spazio, il movimento del corpo procedeva a falce: la schiena bloccata al cruscotto e il bacino che provvedeva al movimento necessario. Alla fine decidemmo di andare a ballare il più lontano possibile per evitare le code, non sulle strade, ma alla portiera della macchina. Dovevano essere luoghi lontani ma non troppo, compatibili con le cinquecento lire di benzina. 
Nel ‘Cinquecento’ si metteva quell'importo e doveva bastare.
Nei mesi freddi purtroppo il problema era più importante. Cinque giovani vitelli (vedi: lo spritz) che scaldano una stalla di un metro e trenta per uno e venti per uno, generavano tre metri cubi di vapore acqueo a minuto. Il passeggero anteriore era impegnato a pulire il vetro anteriore per consentire la visibilità; si aprivano leggermente i finestrini che immettendo aria gelida, provocavano vortici bollenti e gelati che congelavano il sudore, a volte nevicava all’interno dell’abitacolo.
Il Riccardo, proprietario del cinquecento, cominciò, come tanti altri, ad apportare delle modifiche.
Come aveva fatto per il suo sedile, rese ribaltabile anche quello del passeggero, evitammo i dolori di schiena, e ci fu un’impennata di richieste di chiavi,  ma a quel punto avemmo in cambio consumazioni.
Modificò i vetri posteriori consentendo un’apertura a compasso che evitasse l’apertura dei finestrini nel periodo invernale. Divenne utile per l’estate, aiutava la circolazione dell’aria, ma d’inverno si scoprì che il congelamento passava alle gambe dei passeggeri anteriori, troppa uscita di aria impediva di scaldare sufficientemente quella in ingresso, era comunque una miglioria.
Un giorno arrivò in commercio il cinquecento “L”. Sì, l’elle stava per Lusso: sedili ribaltabili per tutt’e due i passeggeri anteriori, vetri posteriori con apertura a compasso, tettuccio in tela apribile, paraurti con tubolare a protezione dei fanali  e leva del cambio anatomica (non ho mai capito cosa significasse).
Il tettuccio apribile fece esplodere la mania di viaggiare in piedi fuori dal tettuccio: immaginate quei quattro esseri con facce inebetite dal vento, ma sorridenti, coi moschini sui denti. Partì il consumo di chewing-gum. 
La comodità dei due sedili ribaltabili consentiva i cambi di posizione alle coppiette. Era frequente sentire lei dire: Aspetta! Era sempre il cambio anatomico non il ragazzo. Scoppiò la mania di sostituire il pomello con altre forme.
Fu comunque la rivoluzione e anch’io, finalmente, potei acquistare il mio cinquecento: L naturalmente, di color amaranto. Il colore amaranto suona bene, ma in realtà era il colore dell’antiruggine. Io credo che fosse proprio antiruggine perché la macchina doveva costare poco e quella ‘elle’ aumentava le spese. Cinquecentonovantacinquemilalire, erano tantissime, circa dieci mesi di lavoro (come oggi).
Naturalmente, l’acquisto dell’autovettura da parte di qualcuno della cinquina spezzava il gruppo in due, poi in tre. Fu come rompere il termometro a mercurio. Inizialmente facemmo una specie di albero genealogico per tenere il conto dello sviluppo della compagnia, poi trovammo morosa.
Buon viaggio!

Nessun commento:

Posta un commento

Sarebbe un piacere sapere cosa ne pensi: Dimmelo!