domenica 29 maggio 2011

Bip-Bip

Il lungo ponte sul Lago di Comabbio.
Oggi ho incontrato Mono-bastone (vedi: Bea Grassa). L’Ho incrociato che tornava dal ponte sospeso e mi dice: Ha visto? Ho preso anche l’altro bastone, purtroppo non era uguale! Bene! Rispondo: si va meglio così? Si benissimo! Mi risponde.
Sono contento, ho contribuito a migliorare la vita di qualcuno, peccato che il bastone vecchio fosse nero e quello nuovo rosso, io ero convinto li vendessero in coppia; ma fa niente dai, viva Milan e continuiamo.
Più avanti incontro quello con la macchinetta che usano nei campi da golf (vedi: Conigliette in tour) e, prima che mi faccia la battuta sui mei bastoni della camminata nordica gli dico: scusi ha visto un paio di sci? Quello mi risponde: si li ho visti piantati in mezzo alla neve! Odio questi simpaticoni che hanno sempre una battuta in più e migliore della mia. Ho scoperto che costui è il proprietario di quegli animali nel recinto dotato di cartello “Fatevi i C….. vostri (vedi sempre: conigliette in tour). E’ chiaramente un bel personaggio.
Questi, con la sua macchinetta da golfisti, stava addentrandosi in un vasto e bellissimo campo rasato.
In questi giorni vedo tantissimi prati tagliati: una meraviglia.
Grandi distese più verdi del prato di casa. Viene voglia di fare una corsa a piedi nudi.
So, naturalmente, che un campo tagliato non è morbido come il prato di casa.
Ricordo comunque che era peggiore il campo di grano. Quei campi bellissimi che, prima della mietitura ondeggiano al vento come le onde del mare, ma che dopo il taglio diventavano aridi campi pieni di aculei. Il più particolare dei campi post raccolto era, comunque, quello del granturco.
Il Granturco è una pianta piuttosto alta, la raccolta si faceva a mano: con un falcetto si recideva il tronco, simile a una canna di bambù, con un movimento dall’alto verso il basso che lasciava la base della pianta, come una specie di lancia tagliente, ancorata con le radici a terra e protesa verso il cielo.
Questi moncherini erano tutti sopra a un lungo dosso, intercalato da una cunetta parallela che serviva per l’irrigazione. Il gioco estremo di noi bambini era attraversare questi campi trasversalmente prendendo il passo giusto per far cadere il piede sulla morbida cunetta, schivando i pericolosi moncherini, che in Veneto si chiamavano “Scataroni”. Numero Quattro, detto anche Scataron, li prendeva di solito in pieno.
E’ ovvio il motivo del soprannome, ma non perché solo lui non riuscisse a schivarli.
Credo che il motivo stesse nel fatto che lui era il “cagionevole di salute” di tutta la nidiata. A parte la Numero Nove (vedi: bea grassa) e il Numero Cinque, eravamo tutti abbastanza secchini, ma comunque sani.
Tutti noi imparavamo presto a gestirci, ci inventavamo i giochi, ci organizzavamo le compagnie, ci si dava da fare, ma lui no, lui era ‘cagionevole’.
Di questo problema si occupò Dio, cioè nostra madre. Trovò tempo, iniziative, e forza per proteggere e aiutare questa creaturina, come il buon pastore che lasciò le altre pecorelle che sapeva al sicuro (più o meno), lei si occupò di lui. Insomma riuscì a crescere un bambino viziato. In mezzo ad altri otto, viziarne uno, perché di salute cagionevole è da Mamma.
Il figlio Numero Cinque nacque solo un anno dopo il ‘Cagionevole’, robusto e in salute perfetta, quindi nostra madre poteva benissimo seguire l’altro meno fortunato (la cosa però segnò Numero Cinque: tre anni fa, mia madre che ne aveva novantotto e Numero Cinque quasi settanta, ci scrisse una lettera pesantissima contro nostra madre che, a suo avviso, non lo amava ma gli preferiva Numero Quattro).
Io ebbi l’opportunità di capire la situazione molti anni dopo, quando ‘Numero Quattro’ il viziatino, decise di voler suonare il pianoforte?
Mio padre spesso, non avendo uova con cui barattare il mezzo toscano, recuperava i mozziconi, li triturava e ricostruiva un sigaro. Tornando da scuola verso fine inverno, sapevo purtroppo che a pranzo mi aspettavano i soliti fagioli che odiavo e che ho ricominciato a magiare a cinquant’anni, tanto ne avevo abbastanza. Nostra madre si vestiva sempre di nero, un po’ perché le donne avevano sempre qualche morto che dovevano ricordare, ma molto perché con tre vestiti neri era ammodo per un anno intero. Non racconto delle economie degli altri familiari, ma, in quella situazione, a quel figliolo con la salute precaria, arrivò “il Pianoforte” e anche l’insegnate di musica.
Quel giorno capii che le donne, particolarmente le mamme, sono come Dio: Onnipotenti.
Il Pianoforte fu portato, addirittura, al piano superiore. Io ricordo solo che era enorme, aprivo le braccia e non riuscivo a premere il primo e l’ultimo tasto; Quando arrivava il periodo dei bachi da seta, questo serviva anche da ancoraggio alle lettiere; un giorno ci salii sopra, ero talmente in alto che da quel giorno sogno sempre di volare.
Mia madre era riuscita a portare a casa un pianoforte! Neanche i Baja, i ricchi del paese, che poi erano i miei zii, avevano il Pianoforte.
Dopo quell’episodio non ho più ricordi particolari sennonché, trasferiti in Lombardia, “Gracile Scataron” si ammalò ancora, ma questa volta vennero uomini in tuta bianca e maschere a disinfettare tutta la casa, penso fosse una cosa seria.
Finalmente arrivò alla santa pubertà e conobbe Giuseppina.
Dov’è Numero Quattro? Da Giuseppina!
Numero quattro ha bisogno di mille lire! Che cosa deve fare? Deve fare un regalo a Giuseppina!
Numero quattro ha comprato un vestito nuovo perché domani c’è la festa da Giuseppina!
Il suo vantaggio fu che smettemmo di soprannominarlo Scataron e lo ribattezzammo Giuseppina. Fece qualche anno il cameriere e imparò lo stile e la portanza. Era il ben vestito, e orgoglioso diceva che così faceva bella figura con Giuseppina.
Mia madre, sorella di venditori di vino, ci avviò al commercio del settore. Avevamo la Topolino per le consegne e quando toccò a Numero Quattro la gestione aziendale, cambiò la Topolino con un Millecento perché doveva caricare Giuseppina. Dire che avesse le mani bucate era un eufemismo, economicamente parlando credo manco avesse le mani.
In quel periodo io andai due anni in collegio per diventare vescovo come il fratello di mio nonno, tornai per il matrimonio di Numero Quattro con ….Carla?
 In un anno fu mollato, pianse conobbe la figlia di un cliente e si sposò. Fu la rivoluzione.
Spendaccione e libertino, diventò parsimonioso e bigotto. In circa quindici anni, tutt’e due lavoratori dipendenti, acquistarono un appartamento in città e uno al mare e l’unico figlio si laureò. Oggi il figlio è un Pezzo Grosso della Caritas.
Quanto al bigottismo, tutti noi abbiamo l’abitudine d’intercalare con ‘va in mona’ o ‘cazzo’, è normale ma, quando c’è lui, padre della Caritas, ci fa il biiiip, come in televisione.
Pensare a come parlava ai tempi di Giuseppina.
Devo ora riaffermare il concetto che le donne sono come Dio, onnipotenti e in questo caso si tratta di una moglie.
Solo un dettaglio: sogno a volte Numero Quattro (non più Scataron e nemmeno Giuseppina ma Bip-Bip), correre tra i campi tagliati di granturco a forte velocità e a strilli di biiip-biiip, beccare in pieno tutti gli scataroni.

Con tanto affetto, carissimo, gracile Numero Quattro.

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