martedì 24 maggio 2011

Bea Grassa

Passeggiando con bastoni da camminata nordica, incontro un anziano della mia età che, dotato di un solo bastone, m’interloquisce, complice della stessa specialità: né ho preso uno anch’io per provare, e mi trovo molto bene! Mi apostrofa; "Vero, anch’io, e mi sono passati dolori alle spalle e sto tornando in linea!" Rispondo, e approccio un argomento: "Qua, vedo correre tantissime persone, tutte un po’ obese, o fuori peso che corrono stravolte dalla fatica, io credo che il corpo umano sia come una macchina e sfruttarlo facendolo andare al massimo penso significhi danneggiarlo." Vuoi mettere una tranquilla passeggiata con bastoni da camminata nordica e movimento totale e completo dei muscoli, gambe, spalle, addome, e bicipiti, senza eccessivo sforzo. Vero! Risponde. Io vengo da Casale Litta, quatto chilometri al collegamento con i due laghi,  vado sempre sino al ponte dopo Ternate e ritorno a Casale.  Lo informo che c’è il nuovo percorso verso sud, e mi risponde: ”io credo che il corpo umano sia come una macchina e sfruttarlo e farlo correre al massimo significhi danneggiarlo, vuoi mettere, una tranquilla passeggiata…” Guardo più attentamente il mio interlocutore mono-bastone, vedo una spalla più grossa dell’altra, metto una mano di controllo al portafoglio (se ti rubano i discorsi, non si sa dove possano arrivare ...). Fortunatamente siamo a un bivio, lui va a sinistra ed io viro ovviamente a destra. Tutti a me!
Ho continuato il ragionamento da solo. Nella mia vita ho conosciuto il lavoro contadino, ho fatto il muratore, tante fatiche, tanto sudore per guadagnare qualcosa, ma pagare per faticare davvero ho difficoltà a concepirlo.
 Oggi si spende per mangiare troppo, poi si spende per perdere peso accumulato mangiando troppo, e si spende anche per vestirsi da “Perdipeso”. Non si va a correre e basta ma si mette il pantaloncino attillato come se strizzandosi l’intimo si dimagrisse prima, si mette la scarpetta ad alto consumo (monetario, s’intende) magliettina da pupazzetto di carnevale e via a stravolgersi di fatica. Chiedo e dico: non si farebbe prima a mangiare meno?!
Negli anni cinquanta persone fuori peso erano una rarità, erano anzi ammirate giacché ovviamente benestanti, tutti gli altri che non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena, e che lavoravano sotto il sole quattordici ore al giorno o al gelo d’inverno, sempre per quattordici ore, erano tutti taglia trentotto.

Per questo, quel freddo novembre del cinquantatré non capii subito cosa fosse successo.
Mi svegliò un gridolino felice di mia madre, alzai la testa e, tra le sbarre del lettino, vidi che teneva in braccio qualcosa e mi disse: Guarda è arrivata una sorellina! Annuii e mi girai dall’altra parte, ma in quel momento non capivo cosa ci fosse di così entusiasmante, una sorella c’era già e, a quel tempo mi faceva anche da matrigna (aveva quindici anni in più) poi c’erano gli altri sei fratelli, tutti insieme eravamo in dieci, perché fare undici?
 Il giorno successivo cominciai a capire. Era nata una bambina di cinque chili e seicento grammi. Non era una bambina, ma il simbolo della prosperità, era la prova lampante della potenza di mia madre, centoquarantotto centimetri per trentotto chili, che aveva generato un essere che era il quattordici e sette percento del suo peso. Per anni la sentii dire con orgoglio a tutti quelli che incontrava “Varda che bea grassa” (solo in questo caso riusciva addirittura a dire la doppia esse, vietata per i veneti). Per lei era come un trofeo: una controprova della povertà in cui si viveva e comunque una prova del suo modo di affrontare la vita, “I problemi si risolvono sempre e, come, sarà la Provvidenza a deciderlo.
Una foto mitica è: una bacinella ovale in ferro per il bucato a mano con dentro la nuova venuta pronta per il bagnetto ma con pochissimo spazio per l’acqua; A fianco io a centodieci centimetri, poi un fratello appena maggiore a centotrenta centimetri e mia madre a centoquarantotto, tre immagini semitrasparenti la cui somma di massa corporea era pari a quella della bimba. Sino a quando non venne il momento di andare all’asilo, l’incubo della sorella ‘bea grassa’ mentre io, magro da fame nel mondo, mi perseguitò. Volevo essere grasso anch’io. Un giorno ricevetti un paio di pantaloncini dai cugini ricchi che, senza passaggio per la pipì, sembravano aderire meglio all’addome e a me sembrò che dessero l’aspetto da grasso, e dissi a mio fratello: Guarda che bei pantaloni da grasso! Lui mi rispose: allora non sono per te, toglili.
Venne il giorno dell’asilo e quel "Bea grassa" non era più un complimento, si sa che i bambini sanno essere tremendamente cattivi, e la cosa cambiò.
Mia madre iniziò a descriverla come di ‘osso grosso’ (che mito quella donna). A quel tempo notai che le donne avevano tutte il sedere più grosso dei maschi e pensai avessero il sedere fatto di ‘osso grosso’.
Crebbe, sempre con l’osso grosso, e quando arrivo all’età giusta, venne il problema di dimagrire. Decise di abolire quasi tutto quello che certamente ingrassava: Carne, latticini, dolci. Optò per le insalate con bevuta finale di acqua e aceto. Prendeva un’insalatiera,  mischiava le varie verdure e se le mangiava. Un’insalatiera da verdure, razione da sei persone. Un giorno mio fratello vedendola sempre uguale, sempre un po’ arrabbiata perché non dimagriva gli disse: Anca e vache magna soeo erba e e pesa diese quintai (traduco: anche le mucche mangiano solo verdura ma pesano dieci quintali). Si arrabbiò moltissimo, ma capì, e da quel giorno decise di ridurre le razioni, e qualche lieve risultato lo ottenne.
Cosa voglio dire con tutto questo? Niente, tanto ognuno fa quello che ritiene giusto, ed è bello sbagliare in proprio e non per i consigli degli altri. Ho solo voluto dedicare un ricordo a mia sorella appena scomparsa, so che non se la prenderà, ci volevamo bene.
Ciao!

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